LIBERTA' DI ESPRESSIONE

Giornalisti Usa: “La censura di Obama è la piu’ froce della storia”

Massimo Gaggi per “Il Corriere della Sera

9 ott – Corsi di crittografia per imparare a comunicare in codice, telefonate ed email sostituite da furtivi incontri nei bar della capitale, le aziende editoriali più grosse che addirittura allestiscono reti informatiche separate e «safe rooms»: stanze blindate a prova di intercettazione. Dura la vita del giornalista investigativo americano: nell’era di Wikileaks e delle fughe di notizie per via informatica l’amministrazione Obama è stata indotta a varare un severissimo giro di vite.

Ora la stampa prova a dire basta. Domani al Newseum, il museo dell’informazione di Washington, verrà presentato il primo rapporto sulla libertà di stampa nell’era Obama redatto dal Committee to Protect Journalists , un’associazione di tutela della libertà d’informare creata dagli stessi giornalisti e che ha tra i promotori firme importanti o addirittura storiche come Christiane Amanpour, Arianna Huffington, Dan Rather, Tom Brokaw e il numero due del New

Il rapporto – curato da un’altra grande firma, Leonard Downie, che è stato per 17 anni (fino al 2008) al timone del Washington Post – è un atto d’accusa molto severo nei confronti del presidente democratico che, mosso dall’esigenza di proteggere il Paese da infiltrazioni terroristiche, ha messo nelle mani dei capi dei diversi rami dell’amministrazione federale strumenti di censura che vanno molto al di là delle legittime esigenze di sicurezza nazionale.

Ci sono cronisti che improvvisamente hanno perso ogni rapporto con persone con le quali avevano dialogato per anni. E chi, nella pubblica amministrazione, continua a parlare con la stampa, lo fa attraverso un intermediario: per non lasciare tracce e per non essere colto in fallo se, poi, nega di aver incontrato giornalisti quando viene sottoposto all’esame della macchina della verità.

La stretta sull’informazione è stata progressiva e va avanti dagli attentati dell’11 Settembre 2001. Tutto è cominciato col Patriot Act dell’era Bush, ma l’amministrazione Obama ci ha messo del suo (e ha stretto molto i freni) soprattutto dopo il caso Wikileaks: l’«Insider Threat Program», il programma contro le minacce interne che ha rafforzato il divieto per i dipendenti pubblici di comunicare informazioni relative all’attività di governo, è dell’ottobre 2011.

Il presidente americano ha più volte assicurato che queste misure contro le fughe di notizie vengono applicate con severità solo quando è in pericolo la sicurezza nazionale. Ma la stampa, con le sue indagini, è arrivata a conclusioni diverse: un’inchiesta del gruppo McClatchy, ad esempio, ha scoperto che le nuove misure vengono applicate con severità anche in amministrazioni che hanno abbastanza poco a che fare con la sicurezza nazionale: dal ministero dell’Agricoltura alla Food and Drug Administration fino ai Peace Corps (volontariato internazionale) e la Social Security (sistema pensionistico).

Obama ha accompagnato alla stretta misure per tutelare i cosiddetti wistleblowers , cioè quei dipendenti pubblici in buona fede che scoprono qualche malefatta all’interno della loro amministrazione e la denunciano.

Ma nell’attuale clima di repressione nessuno si espone più anche perché il confine tra le denunce catalogate come interventi in buona fede e quelle che portano all’accusa di spionaggio si è fatto molto sottile.

Il rapporto Downie sostiene anche che con l’estensione dei controlli di sicurezza che ha portato a mettere sotto sorveglianza senza preavviso anche computer e telefoni di grandi testate come l’Associated Press e con l’estensione dell’uso contro la stampa dell’«Espionnage Act»,una legge contro lo spionaggio del 1917, per i giornalisti è diventato quasi impossibile contattare fonti della pubblica amministrazione al di fuori dei canali dell’ufficialità.

Il documento cita anche la denuncia di David Sanger del New York Times attorno al quale è stata fatta terra bruciata dopo un suo articolo sul cyberattacco degli Usa e di Israele contro il programma nucleare dell’Iran: «Nessuno mi parla più: questa è l’amministrazione più chiusa, più ossessionata dai controlli che io abbia mai visto».

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