Dieci modi per ridurre al silenzio i giornalisti
I governi e i gruppi armati di opposizione stanno sempre più raffinando le loro tecniche per impedire ai giornalisti di svolgere il loro lavoro, che si tratti d’indagare sulla corruzione o di denunciare violazioni dei diritti umani. In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, Amnesty International ha elencato i 10 modi preferiti per ridurli al silenzio.
Attacchi fisici
In paesi quali Siria, Somalia e Turkmenistan le forze governative e i gruppi armati ricorrono ad attacchi e a uccisioni nei confronti di giornalisti che criticano le loro politiche e la loro condotta.
Nel novembre 2012 l’operatore Hussam Salameh e il giornalista Mahmoud al-Koumi, due palestinesi dell’emittente televisiva al-Aqsa, vicina ad Hamas, sono stati uccisi da un missile israeliano mentre erano a bordo di un’automobile a Gaza City. Per le autorità israeliane erano “uomini di Hamas”, ma Amnesty International non ha riscontrato alcuna prova al riguardo.
Nel maggio 2012, Abd al-Ghani Ka’ake, un citizen journalist siriano di 18 anni, è stato ucciso da un cecchino governativo mentre riprendeva una manifestazione ad Aleppo. Anche i gruppi armati d’opposizione hanno attaccato e ucciso giornalisti, come denunciato proprio ieri da Amnesty International.
In Messico, la situazione resta drammatica. Un caso tra tutti: Miguel Angel López Velasco, sua moglie e loro figlio sono stati uccisi nella loro abitazione a Veracruz, nel giugno 2011. Il giornalista aveva già ricevuto minacce di morte.
In Somalia, dal 2011, sono stati uccisi almeno 23 giornalisti. Uno di loro era Abdihared Osman Aden, colpito mentre si stava recando al lavoro a piedi il 19 gennaio di quest’anno.
Arresti e condanne
In molti paesi, i giornalisti rischiano di finire in carcere sulla base di leggi che criminalizzano l’espressione di opinioni pacifiche o per accuse fabbricate e motivate politicamente, come il possesso di droga o la frode fiscale.
Il 12 marzo 2013 in Azerbaigian, Avaz Zeynali è stato giudicato colpevole di corruzione, estorsione con minacce, evasione fiscale e mancato rispetto della sentenza di un tribunale e condannato a nove anni di carcere. In passato aveva pubblicato inchieste sulla corruzione e aveva criticato il giro di vite nei confronti della stampa e degli attivisti.
In Iran, dal gennaio di quest’anno, sono finiti in carcere almeno 18 giornalisti, accusati di cooperare con organizzazioni “antirivoluzionarie” della stampa estera. Nelle carceri iraniane si trovano decine di giornalisti e di blogger.
Il 5 febbraio 2013 il giornalista somalo Abdiaziz Abdnur Ibrahim è stato condannato a un anno di carcere per aver insultato un’istituzione nazionale: si era limitato a intervistare una donna che aveva denunciato di essere stata stuprata dalle forze governative. A marzo, la Corte suprema ha fortunatamente annullato la condanna.
Nel gennaio 2012 in Etiopia i giornalisti Reyot Alemu e Woubshet Taye sono stati condannati per terrorismo. Nel corso del processo sono state ammesse prove estorte sotto pressione, gli imputati non hanno avuto pieno accesso alla difesa e non è stato messo loro a disposizione neanche un servizio d’interpretariato.
Minacce
Minacciare i giornalisti e i loro parenti è un metodo purtroppo molto efficace.
In Iran, nel febbraio 2012, ai familiari di Negar Mohammadi, reporter di Voice of America, è stato notificato il divieto di viaggiare all’estero e a uno di loro è stato confiscato il passaporto.
Abdul Karim al-Khaiwani, giornalista yemenita, riceve minacce dall’inizio di quest’anno, dopo che aveva denunciato le torture che verrebbero praticate in centri segreti di detenzione gestiti dalla prima divisione delle forze armate. In due occasioni, sconosciuti hanno sparato contro la sua abitazione e poco dopo ha ricevuto telefonate anonime in cui gli si chiedeva se avesse sentito i colpi.
Quest’anno a febbraio il giornalista nigeriano Musa Mohammad Auwal è stato arrestato dai servizi di sicurezza nella città di Kaduma e interrogato per otto giorni per estorcergli informazioni sul direttore della sua testata, che si nasconde da mesi per timore di essere ucciso.
Sorveglianza
In paesi come Cina e Cuba, le comunicazioni degli attivisti e dei giornalisti che si occupano di diritti umani vengono monitorate dalle autorità.
Nel marzo 2012, la giornalista e blogger cubana Yoani Sánchez non ha potuto ricevere sms o telefonate durante la visita del Papa.
In Cina, nel 2012, molte persone sono state condannate ad anni di carcere per aver postato o inoltrato informazioni ritenute sensibili.
Nel marzo di quest’anno, il governo dell’Arabia Saudita ha minacciato di bloccare gli accessi a Skype, WhatsApp, Viber e Line se le compagnie non consentiranno il monitoraggio dei contenuti inviati attraverso le loro applicazioni.
Divieto d’accesso a Internet
Le autorità cinesi hanno temporaneamente bloccato l’accesso ai siti del New York Times e di Bloomberg e impedito le ricerche in rete degli articoli del New York Times dopo che, alcuni mesi fa, il quotidiano statunitense aveva denunciato alcune controverse vicende finanziarie riguardanti la leadership del partito comunista.
Leggi sulla diffamazione
Le leggi sulla diffamazione possono essere un pretesto per impedire ai giornalisti di criticare le autorità di governo e personalità influenti.
A Timor-Leste Maria Salsinha e Raimundo Oki sono stati accusati di “denunce infamanti” per aver scritto un articolo in cui si riferiva di un procuratore locale che aveva intascato una mazzetta in una vicenda relativa a un incidente stradale avvenuto il 18 ottobre 2011. Il processo si è concluso con una multa ma avrebbe potuto terminare peggio.
Nell’agosto 2012 Islam Affifi, direttore del quotidiano egiziano El-Dostur, è stato rinviato a giudizio per aver pubblicato informazioni false risultate “offensive nei confronti del presidente”. Il processo è ancora in corso.
Le forze di sicurezza dell’Autorità palestinese e i servizi di sicurezza interni di Hamas hanno in comune un triste record di interrogatori e atteggiamenti persecutori nei confronti dei giornalisti. Nel marzo di quest’anno Mamdouh Hamamreh è stato condannato a un anno per aver insultato il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che poi lo ha graziato.
Ritiro dei visti e dei tesserini
In alcuni paesi, tra cui la Siria, i governi rifiutano o ritirano il visto ai giornalisti stranieri per impedir loro di svolgere inchieste sulle violazioni dei diritti umani. I loro colleghi locali rischiano il ritiro del tesserino, indispensabile per svolgere la professione giornalistica.
È ciò che è successo al siriano Ayad Shabi, che nel 2011 si è visto ritirare il tesserino per non aver rispettato le istruzioni del ministero dell’Informazione su come raccontare le manifestazioni di protesta.
Nel luglio 2011 Andrzej Poczobut, giornalista della Bielorussia, è stato condannato a tre anni di carcere con sospensione della pena per aver diffamato il presidente: nei suoi articoli si era occupato dei prigionieri di coscienza. La sentenza ora prevede che debba presentarsi regolarmente alla polizia e non possa lasciare il paese.
Nell’agosto 2012 un giornalista della Bbc, che si era recato in Gambia in occasione della ripresa delle esecuzioni di condanne a morte, è stato trattenuto in aeroporto e “invitato” a a lasciare il paese, sebbene avesse ricevuto regolare autorizzazione.
Nel maggio 2012, Al Jazeera ha chiuso il suo ufficio di Pechino dopo che le autorità cinesi avevano rifiutato di rinnovare il visto di Melissa Chan, che in passato si era occupata di centri segreti di detenzione e di aborti forzati.
Mancate indagini sugli attacchi ai giornalisti
Non portando di fronte alla giustizia i responsabili degli attacchi ai giornalisti, i governi mandano questo messaggio: impedire ai giornalisti d’informare su argomenti sensibili è lecito.
Nel 2011, la giornalista bahreinita Nazeeha Saaed è stata arrestata e torturata per aver riferito sull’assassinio di un manifestante. Uno degli autori delle torture è stato assolto.
Nell’aprile 2012, 25 tra funzionari civili e poliziotti hanno attaccato due giornalisti dell’Azerbaigian, Idrak Abbasov e Adalet Abbasov, poi costretti al ricovero in ospedale. I due giornalisti stavano cercando di filmare una serie di demolizioni illegali di abitazioni alla periferia della capitale Baku. Sull’episodio non è mai stata aperta un’indagine.
Nessuno è stato processato neanche per il sequestro e l’omicidio del giornalista pachistano Saleem Shahzad, avvenuto nel maggio 2011. Due giorni prima della sua morte, Shahzad aveva pubblicato un articolo sulla presunta infiltrazione di al-Qaeda nell’esercito, uno dei temi più tabù nel paese.
Chiusure dei mezzi d’informazione
In molti paesi le autorità ordinano la chiusura di quotidiani ed emittenti radiofoniche che esprimono posizioni critiche.
Nei primi due mesi del 2012, il governo del Sudan ha sospeso tre quotidiani, ricorrendo a una legislazione che consente di vietare qualsiasi pubblicazione che contenga informazioni considerate una minaccia alla sicurezza nazionale.
Nel settembre 2012 le redazioni dei quotidiani del Gambia The Standard e Daily News sono state visitate da uomini in borghese, sospettati di appartenere ai servizi di sicurezza, che hanno ordinato la sospensione di ogni attività.
In Somalia, nell’aprile 2013, le autorità del Puntland hanno messo al bando tre emittenti radiofoniche in vista delle elezioni locali.
Campagne denigratorie
In molti paesi, i governi promuovono campagne denigratorie nei confronti dei giornalisti che criticano le autorità.
Nello Sri Lanka una campagna menzognera approvata dalle autorità ha costretto all’esilio il giornalista Gnanasiri Kottegoda.
In Venezuela, la vignettista e giornalista Rayma Suprani riceve da tempo minacce e insulti via sms e su Internet.
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/05/04/dieci-modi-per-ridurre-al-silenzio-i-giornalisti/