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Sallusti non è un santo, epperò come paese di buffoni siamo unici al mondo

di Giampiero Mughini

Nel suo mestiere di direttore di un quotidiano milanese Alessandro Sallusti aveva sbagliato pesantemente alcuni anni fa. Aveva lasciato che un suo collabotratore – l’attuale parlamentare del Pdl Renato Farina – scrivesse delle porcate e per giunta false contro un magistrato e non aveva poi adeguatamente riconosciuto l’erore suo e del suo giornale. Il magistrato offeso aveva sporto querela per diffamazione. Una prima e una seconda e una terza sentenza. Di condanna. Molto pesante per essere l’imputato un giornalista e non un serial killer. Due anni e passa di galera netta, di cella.

Anche perché Sallusti aveva precedenti condanne, da giornalista e non da serial killer. Errori certo, frutti di un giornalismo aggressivo che non ho mai amato. Epperò la cella è simbolicamente pesante, e tanto più in un Paese in cui ammazzi tua madre, ti penti, fai qualche annetto e poi esci libero e vitale. Di giornalisti in cella nella nostra storia recente ce ne sono stati tre, Giovanni Guareschi (che aveva attribuito ad Alcide De Gasperi una lettera infame che lui non aveva mai scritto), l’ex socialista Lino Jannuzzi e adesso Sallusti. e questo mentre di giornalisti che scrivono porcate ce ne sono caterve. Che scrivono fatti mai esistiti, che difammano gente che ne viene segnata, che seguono il vento del tempo e se la prendono con quelli in disgrazia. Io sono piccolo piccolo eppure un giornalista di “Repubblica” scrisse una volta che avevo l’aria di uno spastico, che ero “ripugnante” e che stavo per essere congedato da una trasmissione televisiva perché nessuna voleva venirci a causa mia. In punta di fatto non era vero nulla. Sporsi querela. Il magistrato, evidentemente un lettore entusiasta della “Repubblica”, giudicò che quello contro di me era un delizioso articolo ironico e che fossi io a pagare le spese processuali. Capita che tu abbia a che fare con gente di questa risma, e quale che sia la sua professione. Se magistrato, peggio.

Torniamo a Sallusti, e dopo aver detto che se in prigione fosse stato inviato Eugenio Sclafari o Ezio Mauro, oggi in Italia ci sarebbe lo sciopero generale, in Parlamento ci sarebbe il finimodo, l’Ordine dei Giornalisti tuonerebbe a più non posso. Pagliacci. Io non condivido una virgola del giornalismo praticato alla maniera di Sallusti, ma innanzi a un gornalista che va in galera a quel modo e per quelle ragioni mi vengono i brividi. Cella, arresti domicliari, lui che esce la sera tardi, lo riarrestano, nuovo processo per direttissima fra qualche giorno. Al confronto Stanlio e Ollio non erano nessuno.

Da noi tutto diventa buffonata. Non siamo capaci di portare a misura e a realtà niente. Ci voleva uno schioccare delle dita per dire che sì Salluti aveva sbagliato, che sì doveva pagare dei danni all’offeso, ma che la cosa doveva finire lì. E invece siamo nella farsa più profonda. Sallusti ai domiciliari, la sua compagna Santanché che si lamenta perché loro due non potranno andare da nessuna parte per Natale, i giornalisti di sinistrza che tacciono, quelli di destra che ululano. Dio mio, ci sia un limite a questa farsa immonda.

Il presidente Giorgio Napolitano ha i mezzi per mettere un punto e chiuderla per sempre. Un presidente della Repubblica ha dato la grazia a Ovidio Bompressi, un militante di Lotta continua che i tribunali avevano giudicato colpevole di avere ucciso con due colpi alle spalle il commissario Luigi Calabresi. Avevo scritto a suo tempo che era giusto dare la grazia, perché erano passati trent’anni e l’Ovidio Bompressi del terzo millennio non aveva più nulla a che fare con l’eventuale assassino del maggio 1972. Adesso che le cose sono infinitamente più semplici, e siamo nella farsa e non più nella tragedia, il presidente Napolitano dia la grazia a Sallusti e permetta a lui e alla sua compagna di fare delle vacanze a Natale. Di problemi ne abbiamo tanti. Non eccediamo nel gravarci di buffonate.

03 dicembre 2012

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